MINDFULNESS: COS’E’,
COME SI PRATICA E PERCHE’ E’ UTILE
COS’E’? Il termine mindfulness non risulta facilmente traducibile in Italiano, sia perché risale in origine dall’antica lingua pali sia perché in realtà si riferisce ad una particolare forma di esperienza non completamente definibile a parole. Diviene probabilmente più comprensibile se immaginiamo di porci in uno stato mentale capace di prestare attenzione ai pensieri, immagini e sensazioni corporee e sensoriali che attraversano il nostro essere nel momento presente. A differenza di quanto induce a pensare il senso comune quando si parla di “meditazione”, nella pratica mindfulness non ci si pone alcuna riflessione od obiettivo particolare, se non quello di accogliere e quindi di accettare senza giudicare qualsiasi elemento in noi presente nell’attimo in cui siamo. I concetti fondamentali derivano dagli antichi insegnamenti e pratiche della tradizione buddista e negli ultimi decenni sono stati integrati in modelli di trattamento psicologico-psicoterapeutico occidentale, con evidenze di risultati positivi comprovati nella letteratura scientifica internazionale del settore.
COME SI PRATICA? In parole semplici ed in parte provocatorie si potrebbe considerare l’applicazione di questa metodica come l’imparare a “non fare niente”, in contrapposizione alla tendenza naturale della nostra mente a distrarsi continuamente dal presente per prestare attenzione ad aspetti e considerazioni sul futuro e sul passato. Tale apprendimento avviene attraverso due forme di training offerte da psicologi psicoterapeuti specializzati, che vengono usualmente definite come pratica formale ed informale. Nel primo caso si intende il porsi in uno stato di silenzioso auto-ascolto, attuato in solitudine oppure in gruppo ogni giorno, per un periodo variabile (da 3 a 45 minuti a seconda dell’esercitazione) ed in un ambiente “isolato” (ad es. una stanza della casa). Tale pratica favorisce la possibilità di una consapevolezza informale applicabile in ogni momento di vita reale che si desidera vivere pienamente. In questi momenti il successo non implica una presenza mentale costante, cosa pressoché impossibile, ma più semplicemente il riconoscere il normale fluire della nostra attenzione ad aspetti diversi del presente per poi continuamente ridirigere il focus all’esperienza del momento.
PERCHE’ E’ UTILE? Se consideriamo che tra i principali fattori causali di disagio psicologico si annoverino processi mentali disfunzionali in quanto fonti di emozioni spiacevoli come la preoccupazione e la rimuginazione, risulta allora comprensibile come la pratica della mindfulness allena la mente a ridurre questi stati cognitivi patogeni a favore di momenti di maggiore consapevolezza e serenità interiore. Per tale motivo già negli anni settanta lo psicoterapeuta americano Jon Kabat-Zinn, uno dei maggiori rappresentanti mondiali della disciplina, ha promosso protocolli d’intervento per supportare persone affette da stati ansiosi e da patologie organiche fino arrivare all’attuale implementazione anche negli stati concernenti i disturbi dell’umore.
COS’E’? Il termine mindfulness non risulta facilmente traducibile in Italiano, sia perché risale in origine dall’antica lingua pali sia perché in realtà si riferisce ad una particolare forma di esperienza non completamente definibile a parole. Diviene probabilmente più comprensibile se immaginiamo di porci in uno stato mentale capace di prestare attenzione ai pensieri, immagini e sensazioni corporee e sensoriali che attraversano il nostro essere nel momento presente. A differenza di quanto induce a pensare il senso comune quando si parla di “meditazione”, nella pratica mindfulness non ci si pone alcuna riflessione od obiettivo particolare, se non quello di accogliere e quindi di accettare senza giudicare qualsiasi elemento in noi presente nell’attimo in cui siamo. I concetti fondamentali derivano dagli antichi insegnamenti e pratiche della tradizione buddista e negli ultimi decenni sono stati integrati in modelli di trattamento psicologico-psicoterapeutico occidentale, con evidenze di risultati positivi comprovati nella letteratura scientifica internazionale del settore.
COME SI PRATICA? In parole semplici ed in parte provocatorie si potrebbe considerare l’applicazione di questa metodica come l’imparare a “non fare niente”, in contrapposizione alla tendenza naturale della nostra mente a distrarsi continuamente dal presente per prestare attenzione ad aspetti e considerazioni sul futuro e sul passato. Tale apprendimento avviene attraverso due forme di training offerte da psicologi psicoterapeuti specializzati, che vengono usualmente definite come pratica formale ed informale. Nel primo caso si intende il porsi in uno stato di silenzioso auto-ascolto, attuato in solitudine oppure in gruppo ogni giorno, per un periodo variabile (da 3 a 45 minuti a seconda dell’esercitazione) ed in un ambiente “isolato” (ad es. una stanza della casa). Tale pratica favorisce la possibilità di una consapevolezza informale applicabile in ogni momento di vita reale che si desidera vivere pienamente. In questi momenti il successo non implica una presenza mentale costante, cosa pressoché impossibile, ma più semplicemente il riconoscere il normale fluire della nostra attenzione ad aspetti diversi del presente per poi continuamente ridirigere il focus all’esperienza del momento.
PERCHE’ E’ UTILE? Se consideriamo che tra i principali fattori causali di disagio psicologico si annoverino processi mentali disfunzionali in quanto fonti di emozioni spiacevoli come la preoccupazione e la rimuginazione, risulta allora comprensibile come la pratica della mindfulness allena la mente a ridurre questi stati cognitivi patogeni a favore di momenti di maggiore consapevolezza e serenità interiore. Per tale motivo già negli anni settanta lo psicoterapeuta americano Jon Kabat-Zinn, uno dei maggiori rappresentanti mondiali della disciplina, ha promosso protocolli d’intervento per supportare persone affette da stati ansiosi e da patologie organiche fino arrivare all’attuale implementazione anche negli stati concernenti i disturbi dell’umore.